Purtroppo in Italia siamo abituati ad osservare, in modo passivo, il susseguirsi di incidenti e di emergenze senza che vengano approfonditi alcuni aspetti centrali come la componente psicologica ed organizzativa che spesso sono alla base di queste situazioni drammatiche. Solo negli ultimi anni il nostro Paese è stato attraversato da diversi “incidenti”: il naufragio della
Costa Concordia, l’esplosione della cisterna sulla Via Salaria, la tragedia al concerto Sfera Ebbasta ad Ancona, il crollo del
Ponte Morandi
e adesso il disastro alla
funivia Stresa-Mottarone
(senza contare le migliaia di vittime per incidenti stradali e sul lavoro). L’approccio che viene proposto sui media ricalca uno stile narrativo che rischia di promuovere una
visione “superficiale” e tendenzialmente "emozionale" del problema
della sicurezza. La centralità del fattore umano nella genesi degli incidenti è ben rappresentato, ad esempio, dalla catastrofe di
Chernobyl (al netto dei difetti di progettazione del reattore RBMK-1000 e della mancanza di un sistema di contenimento efficace). La
sicurezza
viene infatti influenzata dalle
dinamiche presenti nei team di lavoro. Le organizzazioni che presentano una visione rigida, dinamiche disfunzionali, problemi di leadership e sono conflittuali rischiano di contribuire alla genesi di incidenti anche gravi. La
dimensione psicologica
deve essere presa in seria considerazione dato che l'aspetto tecnico e i sistemi di sicurezza da soli non possono evitare un incidente anche grave.
L’approccio alla
sicurezza
nei luoghi pubblici si è basato per decenni su un semplice presupposto: quando suona un
allarme antincendio
o accade una qualche emergenza imprevista in un contesto pubblico le persone lasceranno il luogo seguendo, in modo ordinato, le
procedure previste. La capacità di abbandonare il contesto “pericoloso” viene ritenuta giustamente una priorità ma questa visione “oggettiva”
e solo apparentemente “razionale” non tiene conto della componente
psicologica
emozionale, cognitiva e comportamentale degli esseri umani. Questo approccio alla sicurezza presenta diversi problemi dato che non prende in considerazione in modo approfondito gli schemi comportamentali delle persone durante le emergenze. Infatti le persone non sempre si accorgono immediatamente di un pericolo e a volte possono sopravalutare o sottovalutare la presenza di un problema ed agire di conseguenza attivando un comportamento di fuga che si propaga rapidamente tra le persone che sono presenti. Inoltre è risaputo che il tempo di latenza nella risposta ad un segnale di pericolo può ampliarsi dato che l’essere umano deve decodificare il contesto e in queste situazioni si affida al comportamento che osserva negli altri per agire. Se il panico prende il sopravvento i meccanismi di attacco, fuga e freezing avranno la meglio mettendo in crisi qualsiasi schema “rigido” di gestione della sicurezza
La psicologia offre un enorme contributo scientifico per gli architetti, gli ingegneri e per tutti coloro che si occupano di progettare edifici e luoghi pubblici più sicuri. Negli Stati Uniti dopo l’attentato terroristico del’11 settembre questo tipo di ricerca ha avuto un’ulteriore sviluppo ed impulso grazie all’interessamento di diversi enti governativi ad esempio il CDC U.S. Centers for Disease Control and Prevention e il NIST National Institute of Standards and Technology. Grazie alla psicologia è possibile studiare le reazioni reali delle persone nelle situazioni di emergenza.
Secondo il Prof. Robyn Gershon (Columbia University Mailman, School of Public Health ) analizzare come le persone reagiscono nella realtà durante un’emergenza aiuta a comprendere che cosa può ostacolare i piani di evacuazione e fornire, di conseguenza, indicazioni preziose per architetti ed ingegneri.
Gli
psicologi hanno studiato ed analizzato le reazioni delle persone durante gli incendi per oltre 25 anni
e queste ricerche hanno avuto uno sviluppo particolare verso la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ‘80 del secolo scorso. Ma dopo questo periodo il tema è divenuto man mano meno interessante lasciando spazio all’introduzione delle prime analisi computerizzate della dinamica di un incendio. Il tema è tornato drammaticamente all’attenzione da parte degli esperti
dopo l’11settembre 2001
dato che ci si è resi conto come una situazione imprevista possa rendere fragile qualsiasi pianificazione e persino rendere
controproducenti gli schemi di gestione dell’evacuazione.
Un primo mito che deve essere rivalutato è il tempo di reazione delle persone di fronte ad un allarme antincendio. Le persone prima di decidere se allontanarsi valutano i segnali che arrivano dall’ambiente e soprattutto osservano il comportamento degli altri . Un segnale di allarme è per sua natura ambiguo e poco chiaro. Quando invece l’odore del fumo inizia ad invadere un luogo pubblico le persone possono agire in modo incontrollato e spesso in ritardo rispetto al pericolo. Un qualsiasi segnale di allarme può quindi essere sottovalutato e mettere a rischio la possibilità di un’evacuazione controllata e sicura di un locale pubblico . Secondo la ricerca, realizzata analizzando le video riprese durante delle emergenze e intervistando i sopravvissuti a degli incendi, il tempo di latenza per abbandonare un grattacielo è di circa 3-4 minuti. Anche se non sembra un tempo enorme persino quei pochi secondi possono fare la differenza e trasformare un’emergenza gestibile in un disastro.
Le ricerche condotte in questi anni hanno dimostrato che esistono alcuni
schemi comportamentali ricorrenti durante le emergenze, in quanto le persone:
Gli
esperti di sicurezza sono rimasto colpiti da questo aspetto infatti credevano che le persone sarebbero tornate indietro nel caso avessero incontrato un fumo denso in una via di fuga, mentre nella
realtà hanno scoperto come prevalga l’istinto di sopravvivenza. Questa scoperta ha portato a
rivedere i piani di evacuazione dato che le persone adottano un atteggiamento inerziale, tendono cioè a continuare a fare quello che stavano già facendo anche di fronte a segnali di allarme. Solo evidenti segnali oggettivi (l’odore del fumo) o la sollecitazione da parte di altre persone possono spingere a prendere atto della situazione di
emergenza
tendono ad attivare comportamenti orientati alla sopravvivenza. Anche in assenza di una forte
attivazione emozionale possono mettere in atto schemi
comportamentali errati
ed imprevisti rispetto al contesto di pericolo.
Secondo lo psicologo Robyn Gershon esistono alcune indicazioni che emergono dalle ricerche effettuate in questo settore, in particolare:
Le simulazioni realizzate attraverso i computer non sono sufficienti Secondo il matematico Ed Galea, che si occupa di sviluppare modelli al computer per predire il comportamento di un incendio in un edificio,
è fondamentale analizzare il comportamento delle persone
. In assenza di queste informazioni i modelli matematici che vengono realizzati possono presentare diverse lacune e risultare poco accurati. Il matematico ha iniziato infatti ad introdurre le scoperte e le ricerche realizzate in psicologia per riuscire a migliorare la capacità predittiva dei suoi modelli. E
d Galea collabora infatti con alcuni psicologi
e ha realizzato diversi piani di evacuazione in sinergia con loro. I nuovi studi e questo nuovo approccio alla questione della sicurezza hanno prodotto diverse ricadute pratiche.
In conclusione
La progettazione di qualsiasi spazio deve essere centrato sull’individuo e sulle sue caratteristiche cognitive ed emozionali e tenere conto dei comportamenti sociali che possono verificarsi nelle situazioni di emergenza. Le persone, infatti, hanno bisogno di adattarsi quando si trovano di fronte a situazioni caotiche, di conseguenza i tempi e le modalità di reazione possono essere previste solo attraverso una stretta collaborazione tra psicologi e ingegneri . In Italia in particolare è necessario superare una cultura fatalista che porta a creare l’humus ideale per il ripetersi di tragedie (vedi eventi accaduti in Piazza San Carlo a Torino o il crollo del Ponte Morandi a Genova) che potrebbero essere evitate grazie ad una presa in carico del problema a 360°. La sicurezza non è solo una questione normativa ma richiede una visione sistemica della questione.
Psicologo del Lavoro e delle organizzazioni
Specialista in Psicoterapia
Esperto di VRT (Virtual Reality Therapy)
Master in Cognitive Behavioural Hypnotherapy
Ipnosi Clinica Evidence Based
Membro dell'American Psychological Association
Membro della Division 30 Society of Psychological Hypnosis
Past Vice President Ordine degli Psicologi del Piemonte
Bibliografia
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