Uno dei
miti aziendali
più diffusi dipinge i
leader come persone infallibili
e sempre pronte a risolvere qualsiasi problema. Si tratta ovviamente di una narrazione che
non può coincidere con la realtà. L’essere umano, anche il più performante, può arrivare ad un livello di
successo descrivibile in
termini probabilistici
e non deterministici.
Riuscire a prendere l'80% delle decisioni corrette
è una performance olimpionica
e probabilmente destinata a poche persone di talento e solo in alcuni momenti specifici. Inoltre è da prendere in seria considerazione la
variabile tempo
in ogni valutazione. Alcune
decisioni efficaci potrebbero essere anche il frutto del caso
e per questa ragione la valutazione delle capacità di un leader (o di un investitore) deve essere effettuta all'interno di un
arco temporale di alcuni anni. Ma è davvero necessario
promuovere un’immagine di sé
così irrealistica? Questo produce realmente un impatto positivo nel team di lavoro o all’esterno? In realtà sembra proprio di no. Un
leader efficace non deve essere per forza "carismatico". Come essere
umani siamo tutti consapevoli che abbiamo dei limiti e poterli esprimere,
in alcuni casi, è un buon modo per comunicare un atteggiamento sincero, assertivo , empatico e che può migliorare la leadership. Paradossalmente
ammettere un
proprio errore
può quindi rendere più credibile ogni azione successiva.
Pensiamo che un leader, per essere veramente tale, debba necessariamente essere anche carismatico in grado di coinvolgere in modo profondo un gruppo e di condurlo facilmente verso un obiettivo. In realtà il tema della leadership appare molto più sfumato e complesso di quanto siamo portati normalmente a credere. Infatti secondo una ricerca pubblicata sul “Journal of Personality and Social Psychology” dal titolo “The Double-Edged Sword of Leader Charisma: Understanding the Curvilinear Relationship Between Charismatic Personality and Leader Effectiveness.” che ha coinvolto circa 600 responsabili aziendali l’atteggiamento “carismatico” e l’efficacia sembrano sì correlati ma fino ad un certo punto.
C’è un limite superato il quale questa modalità di agire può
addirittura risultare controproducente. I manager sono stati sottoposti ad un assessment che prevedeva un
test psicologico
ed una valutazione da parte dei propri colleghi che occupavano vari livelli organizzativi. In generale i risultati ottenuti mostrano alcune differenze importanti che è bene sottolineare. Ad esempio nei
contesti operativi
il cosiddetto “carisma” veniva percepito come una
criticità
in quanto influenzava negativamente la capacità del manager di gestire in modo adeguato i dettagli e le risorse. Mentre nei
contesti strategici
questa dimensione veniva valorizzata ed apprezzata. Lo stereotipo del leader carismatico deve quindi necessariamente fare i conti con la
complessità dei contesti organizzativi, con le dinamiche e il rapporto che si viene a instaurare con i follower.
In estrema sintesi possiamo quindi affermare che secondo questa ricerca:
In generale la capacità di adattare il proprio stile di leadership in funzione degli obiettivi aziendali, del contesto organizzativo e del team rimane una competenza strategica centrale, ma che richiede inevitabilmente una profonda consapevolezza del proprio agire professionale , dei punti di forza e delle aree di miglioramento. Senza questa conoscenza il rischio è di agire guidati dalle proprie convinzioni e da alcuni “processi automatici” che possono generare effetti negativi per un manager, che oggi più di ieri deve lavorare in un contesto aziendale complesso.
Un
leader onesto viene percepito anche come più compentente dai suoi followers. Mentre normalmente le persone disoneste vengono considerate anche meno abili, meno efficienti e meno precise nel lavoro che svolgono. Ad esempio se doveste vedere qualcuno rubare un oggetto prezioso in un negozio pensereste che sia anche incompetente oltre che disonesto? Anche se i due elementi (onestà e competenza)
non sono legati direttamente da un rapporto causale, una recente ricerca
(Unethical and Inept? The Influence of Moral Information on Perceptions of Competence. Jennifer E. Stellar University of Toronto, Robb Willer Stanford University, Journal of Personality and Social Psychology®,2018) evidenzia come nella percezione delle persone questi fattori siano in realtà uniti.
Secondo la Prof.ssa Jennifer Stellar dell’Università di Toronto il
comportamento etico di una persona dovrebbe essere irrilevante rispetto al livello di competenza posseduto invece l’aspetto valoriale è un indice che tende a ridurre non solo la fiducia ma anche la percezione della professionalità di una persona.
La Prof.ssa Jennifer Stellar insieme al collega Robb Willer (Stanford University) ha condotto una serie di sei esperimenti che hanno coinvolto un campione di oltre 1500 persone . Dopo aver letto dei racconti che descrivevano il comportamento “immorale” (ad es. un furto, l’agire in modo fraudolento o egoistico durante una prova, l’ingannare qualcuno in un compito in laboratorio) i partecipanti alla ricerca dovevano, attraverso un questionario, valutare il livello di competenza dei protagonisti delle “storie”. Alcuni dei soggetti coinvolti nell’esperimento avevano anche delle informazioni aggiuntive come ad esempio il fatto di sapere che la persona aveva rubato dei soldi che in realtà erano stati raccolti per una donazione oppure che al contrario aveva agito in modo morale perché aveva donato il denaro sottratto a un ente di beneficenza. In tutti gli esperimenti proposti le persone hanno sempre valutato negativamente il livello di competenza delle persone che mettevano in atto comportamenti “amorali ”.
Un dato interessante riguarda lo scostamento tra quanto dichiarato e quanto misurato negli esperimenti . Nelle fasi iniziali le persone mostravano un atteggiamento diverso, meno “rigido” infatti per la maggior parte dei partecipanti all’esperimento la moralità non era un fattore rilevante e non influenzava la competenza.Le persone credevano che non avrebbero usato le informazioni in quel modo, ma quando sono state fornite loro, lo hanno fatto.
Inoltre pare che le persone “immorali” siano state anche considerate meno abili in quanto presentavano uno scarso livello di sentimento sociale. Tale competenza viene considerata importante perché consente di affrontare e gestire gli scenari complessi e agevola i processi di decision making efficaci.
L’attenzione agli aspetti sociali e relazionali ha affermato la Prof. Stellar è importante perché include caratteristiche come l’empatia, la capacità di superare i propri pregiudizi, la capacità di adattarsi e di muoversi all’interno di un frame di valori condiviso senza prevaricare gli altri o mostrare un atteggiamento “aggressivo”.
Una persona abile sul piano relazionale è in grado ad esempio di comprendere quando e perché un collega è arrabbiato ed è in grado di gestire efficacemente la risposta emotiva dell’altro. Competenze relazionali che aiutano e sono fondamentali in qualsiasi contesto organizzativo. Su questo argomento sono sicuramente necessari ulteriori approfondimenti dato che ad esempio i risultati mostrano anche che se l’immoralità veniva abbinata (nella narrazione) ad un alto grado di competenza relazionale e sociale le persone che mettevano in atto comportamenti immorali venivano invece percepite come astute e strategiche .
I leader trasparenti, onesti e diretti comunicano, con il loro atteggiamento, una maggiore sicurezza e soprattutto evidenziano di avere un’ottima autostima. Tutti fattori che sono fondamentali nell’esercizio della leadership. Inoltre questo atteggiamento produce un effetto positivo anche nel team. I membri di un gruppo si sentono liberi di esprimere i propri errori (e non di nasconderli) e questo consente di correggere eventuali distorsioni che si possono produrre durante il lavoro. Un’organizzazione efficiente e produttiva è in grado di riconoscere gli errori, di approfondire le cause che li generano e di apprendere una lezione da questa analisi. La ricerca del colpevole è tipica invece delle organizzazioni burocratiche e inefficienti. Anche i casi studio che abbiamo a disposizione confermano l’importanza di questo approccio alla leadership.
Vediamo insieme qualche consiglio per gli imprenditori, i manager e in generale i responsabili di un team di lavoro.
Come afferma Richard Branson “Fallire è stata la mia fortuna”. Un imprenditore che è orgoglioso dei suoi insuccessi, che ha saputo imparare dai suoi errori e che è stato in grado di esprimere in modo genuino la sua leadership.
Psicologo del Lavoro e delle organizzazioni
Esperto di VRT (Virtual Reality Therapy)
Master in Cognitive Behavioural Hypnotherapy
Bibliografia
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