La nuova campagna pubblicitaria della nota brioche apre il suo spot sull’immagine di una famiglia
che sta consumando la colazione, ma con una modalità espressiva ed emozionale ben
lontana dai noti stereotipi
e cliché a tutti noi siamo abituati da decenni. I genitori e i figli appaiono molto più realistici del solito e ben distanti dalla
rappresentazione onirica tipica del Mulino Bianco. La comparsa improvvisa di una fatina che vorrebbe, usando il suo tocco magico, trasformare la colazione in qualcosa di più squisito rappresenta la svolta sul piano narrativo. Invece che accoglierla con sorpresa e felicità la
fatina viene letteralmente schiacciata. L’atto viene consumato, nelle diverse versioni dello spot, dal papà, dalla mamma, con una mano o con uno schiacciamosche. Il motivo di tale azione? Semplice il
Buondì Motta
è già perfetto così.
Già la precedente campagna pubblicitaria del Buondì Motta aveva fatto discutere. Anche in quel caso la rappresentazione mediatica si scagliava contro gli stereotipi tipici della comunicazione commerciale. Un meteorite che si abbatteva pian piano contro tutti i familiari fino a giungere ad una loro versione “zombie” che aveva suscitato nel pubblico sia entusiasmo che critiche. Gli spot ideati dall’agenzia Connexia nascono proprio per colpire e per produrre un impatto mediatico sui social.
Il divario tra una colazione reale e quella rappresentata nella pubblicità tradizionale è enorme. Il primo pasto della giornata si trasforma spesso in una rapida corsa nel trangugiare qualcosa prima di recarsi al lavoro, di accompagnare i figli a scuola o di svolgere le attività quotidiane. La
distanza è ben nota a tutti, ma se una volta la fascinazione della rappresentazione ideale poteva suscitare un certo interesse (soprattutto nell’Italia del boom economico e nel decennio degli anni ‘80) ora i canoni sono completamente stravolti.
L’ultimo
rapporto del CENSIS
(l’istituto di ricerca socio-economica italiano fondato nel 1964) riporta come l’Italia stia invecchiando rapidamente, l’atteggiamento sia sempre più negativo e le preoccupazioni per il futuro sempre più profonde. Per questa ragione la famiglia del
Buondì Motta
è più vicina alla realtà di quanto possiamo immaginare. Per superare il rumore di fondo adesso, più che mai, è necessario imporre una comunicazione creativa, dissacrante e in grado di superare l’eccesso di informazioni a cui siamo tutti sottoposti. La fatina, nel modo in cui viene rappresentata nello spot del Buondì Motta,
è lei stessa uno stereotipo
che ricorda il mondo ovattato (ma non per questo meno crudele) della Disney o della stessa pubblicità. Il tocco magico della fatina non è in fondo quello della pubblicità che è in grado di trasformare in attrazione qualsiasi prodotto o servizio?
Il marketing volutamente trasforma gli oggetti e il cibo rendendoli molto più attraenti di quanto essi possano essere una volta tolto il packing. Ricordate la delusione di quando da piccoli aprivate una merendina e trovavate all’interno un prodotto ben distante dalle sfolgoranti immagini presenti sulla confezione? Le foto alterate, l’eleganza minimalista di certi contenitori di smartphone, la scelta dei colori, il brand, il font e lo stile grafico incrementano il senso di attrazione verso l’acquirente. Più o meno consapevolmente sappiamo tutti che la delusione è dietro l’angolo.
Ad esempio un hamburger, una volta tolta confezione, non sarà mai lontanamente vicino a quello rappresentato nella pubblicità così come il nostro smartphone ultimo modello perderà il suo fascino dopo poco tempo. Nella comunicazione pubblicitaria qualsiasi oggetto viene alterato in modo artificiale ma questo non deve stupire. Non è in fondo la stessa cosa che tutti noi facciamo nella comunicazione sui social? Chiedersi che cosa sia reale o meno è più un puro esercizio intellettuale dato che prevarrà sempre la rappresentazione mentale di un oggetto, di un’esperienza o di un prodotto.
Inoltre sappiamo benissimo che il gusto stesso di un prodotto viene alterato proprio dall’effetto alone determinato dalla sua confezione. Un’etichetta di vino, un brand famoso di una bevanda o il contesto in cui si consuma una cena sono tutti fattori in grado di alterare la percezione stessa dei gusti e dei sapori. Per questa ragione nelle ricerche di mercato viene utilizzata una metodologia chiamata “blind test”. Chi sperimenta un dato prodotto non ha nessuna idea se, ad esempio, stia bevendo una Coca Cola originale o una Pepsi. Per evitare quello che è una sorta di “effetto placebo”.
Viviamo in un’epoca di passaggio in cui la tentazione di fuggire verso un passato rassicurante ed idealizzato (e per questa ragione mai esistito) è preponderante. Nel contempo il desiderio di guardare al futuro con speranza si scontra con la confusione di un presente complesso e ricco di contraddizioni. Le nostre certezze si sono scontrate, nel corso degli ultimi anni, contro una realtà cruda e difficile. Basti pensare a come è iniziato il nuovo millennio salutato con uno dei più violenti, sanguinari ed inaspettati attentati terroristici di sempre. Con il crollo delle Twin Towers, nel settembre del 2001, hanno iniziato a vacillare le nostre convinzioni più radicate (anche se probabilmente è dal crollo del muro di Berlino del 1989 che la trasformazione globale ha iniziato ad accelerare).
Da allora il mondo ha dovuto adattarsi a un contesto più complesso, meno delineato nella sua contrapposizione manichea tipica della guerra fredda che era per certi versi più rassicurante. L’incubo di un conflitto nucleare era stato un catalizzatore di tutte le paure più recondite, ma nel contempo era chiaro a tutti che l’opzione finale non sarebbe mai stata voluta da nessuna delle due parti (USA e URSS). Dopo gli attentati, la globalizzazione, l’avvento dei social e un appiattimento generale in cui gli unici eroi sono quelli della Marvel (che comunque rappresentano un eco del passato) la confusione generale domina.
Gli algoritmi guidano sempre di più le nostre decisioni, in modo del tutto inconscio, al punto da farci sospettare di essere segretamente ascoltati da un grande fratello digitale.
La realtà è ben più inquietante dato che i sistemi di machine learning oggi sono in grado di comprendere e prevedere in modo sempre più raffinato le aspettative, i desideri e i comportamenti dell’essere umano. Inoltre i social perseguono un obiettivo ben preciso ovvero cercare di tenerci incollati in uno scroll senza fine allo schermo del nostro smartphone. Ci illudiamo poi di poter contare qualcosa condividendo il nostro sdegno o valorizzando le nostre posizioni regalando così il nostro bene più prezioso ovvero il nostro mondo privato. In questo disperato tentativo di adattamento l’unica cosa su cui possiamo agire è un controllo sul linguaggio, ma nella sua forma più elementare. Stiamo perdendo infatti la capacità di interpretare il contesto, le sfumature emozionali tipiche della comunicazione umana, i paradossi e il contesto in cui avviene un’interlocuzione.
Ecco quindi che la fatina diventa un essere umano reale su cui qualcuno agisce la violenza e non un simbolo che viene rappresentato in una forma grafica e stereotipata. Come se un romanzo, un fumetto, un film, un videogioco o una canzone potessero promuovere un comportamento violento in modo strettamente causale. Le logiche deterministiche che stanno prevalendo nella società sono particolarmente semplici, elementari e per certi versi ingenue, ma proprio per questa ragione rassicuranti. Il comportamento violento non deriva da un immenso ed enorme mare magnum di variabili psicologiche e sociali ma da un’unica causa facilmente identificabile. Così le soluzioni semplici per affrontare problemi complessi (come ad esempio la violenza sulla donna o più in generale l’imbarbarimento di certi comportamenti) generano un forte appeal nell’opinione pubblica. Non perché queste siano risolutive, ma perché agiscono generando una rassicurazione psicologica. Individuata quell’unica causa il problema è destinato magicamente a sparire; ma questo passaggio avviene solo nella mente delle persone e raramente si trasforma in comportamenti concreti atti a prevenire realmente le forme di violenza.
Psicologo del Lavoro e delle organizzazioni
Specialista in Psicoterapia
Esperto di VRT (Virtual Reality Therapy)
Master in Cognitive Behavioural Hypnotherapy
Ipnosi Clinica Evidence Based
Membro dell'American Psychological Association
Membro della Division 30 Society of Psychological Hypnosis
Past Vice President Ordine degli Psicologi del Piemonte
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