WhatsApp, come tutti gli strumenti che abbiamo oggi a disposizione, nasce per comunicare con gli altri e per semplificare la vita sia personale che professionale. Ha anche rappresentato uno strumento utile durante i momenti più complessi della pandemia. Ma la tecnologia da sola non è sufficiente se viene a mancare una cornice di regole e se le persone non hanno sviluppato delle soft skills per comunicare in modo efficace nel mondo digitale. Infatti quando il web iniziò a diffondersi la “netiquette” era conosciuta e applicata dagli utenti, i forum di discussione erano gestisti e l’email rappresentavano negli anni ’90 del secolo scorso uno strumento di comunicazione formidabile. Questo equilibrio utopico, basato sulla condivisione e sulla partecipazione, durò ben poco. In breve tempo iniziarono a diffondersi le “fake news”, lo spam ovvero la pubblicità non richiesta attraverso l’e-mail, i banner sui siti fino all’avvento degli smartphone e dei social network che hanno reso incredibilmente facile l’accesso alla rete. In questo processo di democratizzazione del web l’assenza di regole condivise ha prodotto un effetto negativo e per certi versi pericoloso.
Quando Facebook iniziò a diffondersi gli
utenti erano incuriositi nel ritrovare i compagni di scuola o di università, amici e parenti di cui non avevano più notizie ed era piacevole condividere e raccontare la propria vita quotidiana e confrontarsi con altri utenti. In realtà prima dell’avvento del social network di Zuckerberg esistevano già delle altre
piattaforme come MySpace o Friendster ma queste non avevano avuto una diffusione paragonabile a quella ottenuta in seguito da Facebook. Oggi i
social si sono trasformati in un
luogo caotico dove la polarizzazione tra le opinioni politiche, le invidie, il conflitto e la pubblicità sono l’elemento dominante dell’interazione quotidiana. I social inoltre invecchiano velocemente e le
nuove generazioni sono alla costante ricerca di strumenti diversi per comunicare. Inoltre l’ingresso di grossi capitali e di grossi investimenti economici pubblicitari ha ulteriormente snaturato quella che era l’idea iniziale del web.
Il
primo assioma della comunicazione proposto da Paul Watzlawick e dalla Scuola di Palo Alto recita che “non si può non comunicare”, ovvero non esiste qualcosa che sia un “non-comportamento”. Le parole, il silenzio o il “fare un’azione” producono sempre un impatto in termini comunicativi. Anche il
non rispondere a un messaggio su WhatsApp, l’essere online o la famosa “doppia spunta blu” rappresentano una
forma di comunicazione che rischia di generare una serie infinita di incomprensioni e conflitti. Quando venne introdotta l’e-mail (negli anni ’70 del secolo scorso) i primi utilizzatori si accorsero rapidamente di quanto fosse facile creare delle incomprensioni e introdussero le cosiddette “emoticon”
allora generate con dei semplici caratteri tipografici come ad esempio :-) ;-) . Tale scelta fu pensata perché in questo tipo di
comunicazione digitale asincrona veniva a mancare la dimensione emozionale che invece è presente durante un’interazione vis à vis. Infatti l’espressione del viso, la modulazione della voce, il contatto visivo e la
prossemica forniscono una ricchezza unica al processo di comunicazione generando una fitta rete di feedback anche a livello non verbale. Per questa ragione all’interno dei gruppi WhatsApp è naturale che si vengano a creare tensioni, incomprensioni e conflitti malgrado la possibilità di condividere dei vocali, immagini o gif animate.
Un gruppo WhatsApp rappresenta potenzialmente un ottimo strumento di comunicazione dato che può semplificare la condivisione di informazioni e aiutare a mantenere il contatto con gli altri. Tutto questo a patto che il gruppo sia gestito, moderato e non rappresenti l’unica modalità di interazione tra i partecipanti. È esperienza comune trovarsi inseriti all’interno di gruppi senza aver chiare le finalità o senza avere un particolare interesse per l’argomento (ad es. l’organizzazione di una cena o di una vacanza). Molti membri del gruppo virtuale si limitano solo a leggere ed evitano di inserirsi nel flusso di comunicazione. Inoltre WhatsApp è in grado di fornire tutta una serie di feedback che incrementano il livello di ambiguità dell’interazione: le conferme di lettura, la presenza online e le non risposte sono tutti elementi in grado di produrre l’emergere di tensioni e conflitti. Anche il gesto di abbandonare un gruppo a cui non siamo interessati può avere delle conseguenze nei rapporti di amicizia o professionali. Un gruppo WhatsApp rischia di produrre rapidamente un fenomeno di polarizzazione delle opinioni, di dar spazio a un’immensa quantità di contenuti non rilevanti e di generare continue notifiche. Avere un accesso costante con i nostri amici o colleghi di lavoro può essere un’arma a doppio taglio. Se da un lato far parte di un gruppo WhatsApp può aumentare il senso di appartenenza e quindi aiutare l’autostima dall’altro può produrre una serie di ricadute severe sul piano psicologico come l’ansia sociale e i conflitti interpersonali. Infatti le applicazioni come WhatsApp e Telegram stimolano il nostro bisogno psicologico di appartenenza e di interazione. Mentre ci sono casi in cui alcune persone decidono consapevolmente di restare all’interno di un gruppo senza interagire e preferiscono evitare di lasciarlo o per il timore di perdere delle informazioni “importanti” o per curiosità o per esercitare un controllo silente verso gli altri.
Dott.Igor Graziato
Psicologo del Lavoro e delle organizzazioni
Specialista in Psicoterapia
Esperto di VRT (Virtual Reality Therapy)
Master in Cognitive Behavioural Hypnotherapy
Ipnosi Clinica Evidence Based
Membro dell'American Psychological Association
Past Vice President Ordine degli Psicologi del Piemonte
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